domenica 28 settembre 2014

Storia del processo Bosch-Haber ( e Mittasch)

La storia che vi sto per raccontare è la storia di un uomo che ebbe un’idea semplice (e a tratti banale) ma che diete un grande contributo all'umanità.
Nella prima parte del 1800, la popolazione mondiale raggiungeva a stento il milione di abitanti, pochi, se paragonati ai 7 miliardi odierni, ma abbastanza da sollevare problematiche come quello del fabbisogno alimentare. In quel periodo infatti la produzione di ammoniaca come fertilizzante veniva eseguita distillando il carbone oppure riducendo l’acido nitrico; era ovvio che queste vie sintetiche non sarebbe state in grado di soddisfare la richiesta mondiale di fertilizzante per molot tempo. 

Agli inizi del ventesimo secolo, la comunità scientifica si rese conto che gli elementi base dell’ammonica (azoto e idrogeno) erano già presenti nell'aria in enormi quantità. Divenne quindi logico pensare che fosse possibile sfruttare questi “mattoni” per avere una produzione accettabile di NH3. Nel 1894 Fritz Haber, fu colui che nonostante le difficoltà e le aspre critiche, trovò la strada giusta.
I suoi primi tentativi però furono fallimentari: lavorando a temperature di 1021°C riuscì ad avere una conversione del 0.012% di ammoniaca e notò che se estrapolava la percentuale di ammoniaca prodotta al variare della temperatura, si osservava che abbassando la temperatura si aveva una percentuale di ammoniaca sempre più alta, arrivando ad avere 98% di ammoniaca ad una temperatura di 27°C. Insomma, i dati non rispecchiavano quello che era l’evidenza sperimentale.
Ovviamente Haber continuò nonostante lo scetticismo della comunità scientifica.Tra gli questi c’era Walther Nernst (che in quel periodo stava lavorando al terzo principio della termodinamica) che non riteneva impossibile questa via sintetica . Per smentire Haber, Nerst, condusse una serie di esperimenti di verica che ebbero esiti più disastrosi: alla stessa temperatura, Nernst, otteneva una percentuale di ammoniaca ancora più bassa di quella di Haber. Si accesero così una serie di scontri a colpi di lettere, pubblicazioni scientifiche e in una occasione vennero anche alle mani.
Haber, era però sulla strada giusta, lì dove la termodinamica non aiutava la cinetica, serviva un aiuto. Realizzò che aveva bisogno di un catalizzatore (l’osmio) e di alte pressioni (idea presa da Nernst)
e i primi risultati non si fecero attendere: 8% di ammoniaca a 800 K lavorando ad una pressione di 175 bar. Tali risultati spinsero Haber a creare un gruppo di lavoro con Carl Bosch e Alwin Mittasch.
Haber si occupava di elaborare il processo, mentre Carl Bosch e Alwin Mittasch si occupavano rispettivamente di ingegnerizzare il processo e del catalizzatore.
La svolta la si ebbe grazie al caso: Mittasch, infatti, usava lavare il reattore con Magnetite e fu a causa di uno studente (dimenticatosi di lavare le apparecchiature) che scoprirono che la Magnetite era un catalizzatore migliore dell’osmio. Con il lavoro di Bosch (che costruì un reattore in grado di lavorare ad alte pressioni) e alla supervisione di Haber , essi ,ottimizzarono il processo riuscendo a raggiungere una conversione del 90%.
La vicenda si conclude quindi in maniera ironica, in quanto Nernst dovette ricredersi: il suo procedimento era sbagliato a causa di alcuni errori di calcolo del calore specifico dell’ammoniaca. Bosch e Haber vinsero nel 1918 il premio Nobel per la chimica e Mittasch rimase praticamente nell’ombra nonostante fu cruciale nell’identificazione del catalizzatore.

sabato 27 settembre 2014

Un sale...meno salato.

Il sale da cucina è sicuramente uno degli elementi fondamentali del fabbisogno alimentare umano, non è però di natura e caratteristiche uniche bensì il sale da cucina che troviamo sui banconi e gli scaffali dei comuni rivenditori alimentari ha differenti gradi di salinità e composizioni talvolta sensibilmente differenti.
Iniziamo col dire, anche se è ormai cosa ben nota a tutti, che il sale da cucina (o Salgemma) è un composto chimico ionico di formula NaCl che corrisponde alla nomenclatura IUPAC di Cloruro di Sodio.
E se questo non corrispondesse in realtà sempre al composto che noi tutti ordinariamente utilizziamo per cucinare?

In effetti il sale da cucina ordinariamente usato è costituito da una base più o meno rilevante di cloruro di sodio a cui però sono aggiunti in quantità più o meno rilevanti altri composti che contribuiscono a conferire allo stesso qualità, colori e persino grado di salinità, per cui possiamo realmente distinguere un “sale più salato” da un “sale meno salato”.
Entrando nello specifico si potranno rilevare diverse varietà di prodotto:

·       Sale iodato: comunemente diffuso nei rivenditori è già una varietà sensibilmente differente dal classico cloruro di sodio e deriva all’aggiunta a quest’ultimo di Iodio sotto forma di Ioduro o Iodato di Potassio (KI o KIO3), perché fare tutto ciò? Semplicemente perché l’organismo umano ha bisogno di una minima quantità di iodio per funzionare regolarmente (esso controlla la funzione degli ormoni tiroidei) e in alcune zone del mondo essa è assente nel fabbisogno derivante dalla normale dieta per cui occorre aggiungerlo in altro modo onde evitare l’insorgere di problemi legati all’ipertiroidismo

·       Sale iposodico: sale con minore contenuto di sodio, perché miscelato in quantità variabile con un altro composto ossia il cloruro di potassio (KCl), essendo la sensazione di “salinità” data dall’interazione del sodio Na con l’organismo, il sale iposodico risulta effettivamente meno salato se addizionato ai cibi e può essere utilizzato, sempre previo consulto medico, per tenere sotto controllo problemi legati all’ipertensione arteriosa.

·       Sale asodico: un tipo di sale quasi completamente privo di sodio (ne contiene al massimo lo 0.12%) utilizzato solamente, sempre previa prescrizione, nelle diete iposodiche particolarmente rigide.

·       Sale marino integrale: contenente cloruro di sodio miscelato con altri elementi quali ad esempio iodio, bromo, argento ciò a parità di peso riduca la quantità effettiva di sodio presente e può essere usato in cucina insieme alle erbe aromatiche per il condimento dei cibi.

Ripetiamo dunque ancora una volta che l’elenco dei prodotti qui riportati  hanno uno scopo puramente informativo, per chi fosse interessato all’utilizzo di eventuali prodotti è opportuno consultare un medico senza basarsi semplicemente sulle poche informazioni qui riportate onde incorrere in problemi di salute indesiderati, una dieta buona ed equilibrata è senza dubbio il principale vettore per una vita sana.


Marco Di Paola

giovedì 25 settembre 2014

La vita Oltre il Carbonio.

Spesso, quando si parla dell'universo ci poniamo tutti la stessa domanda: “esistono altre forme di vita intelligenti ?”.Tra i quesiti che vengono sollevati, ce n'è una che viene sopravvalutata o quantomeno data per scontata : "Ma la vita deve per forza essere a base di carbonio ?".
Ma la risposta non è poi così semplice e scontata; l’esobiologia, ovvero quella parte della biologia che si occupa di immaginare sistemi biologici su scenari diversi da quella della terra. Lo scopo ti tali speculazioni sono alla base delle nostre ricerche sulle tracce di forme di vita aliene e ricoprono quindi, per chi lavora in questo campo, un ruolo importante.

Proviamo però a prendere in considerazione tutti quegli elementi che potenzialmente potrebbero essere la base di un'ipotetica forma di vita:


Carbonio

La vita, come la conosciamo noi ruota interamente intorno alla chimica del carbonio (Nello specifico tutta la chimica organica e la chimica biologica non è nient'altro che la chimica degli idruri del carbonio).
Nella sua forma elementare, il Carbonio può esistere in una grande varietà di forme allotropiche dotate delle piu' disparate proprietà fisiche e meccaniche (Riportiamo per esempio il Diamante e la grafite o il piu' esotico fullerene) e le sue proprietà sono tali da essere il fulcro di materiali dalle proprietà che non smettono di stupire i ricercartori (Polimeri, nanotubi, grafene).
Questa sua elevata flessibilità, affiancata alla sua elevata tendenza a stabilire legami omonucleari praticamente infiniti, hanno permesso la formazione di polimeri biologici come i polipeptidi e il DNA stesso.

Silicio

Il Silicio è l'elemento successivo al carbonio nel quarto gruppo della tavola periodica  e Diventa quindi ragionevole immaginare una chimica alternativa al carbonio basata su questo elemento. Tuttavia il silicio (a causa delle forze di dispersione, maggiori del carbonio) ha una tendenza minore a formare legami omonucleari, che si traduce in una minore tendenza a stabilire lunghe catene silicee e presenta una reattività nettamente diversa. Seppure siano noti una grande varietà di idruri di silicio che hanno una struttura che ricorda molto classi di composti quali gli alcani, rimane comunque una chimica limitata. Forme di tipo polimeriche sono ottenibili utilizzando l'ossigeno come ponte tra gli atomi di Silicio ma la reattività di questi composti (vedi la Silice) non è paragonabile alla reattività del carbonio.

Boro

Il boro è un'elemento che precede il carbonio nel terzo periodo della tavola periodica ed è l’u7nico elemento (se non uno dei pochi) a subire una una riduzione dell'ottetto; a causa della sua particolare configurazione elettronica il Boro Idruro (Bh3) è caratterizzato da una reattività molto particolare, essendo in grado di accettare nucleofili ed è caratterizzato da una sua instabilità che lo porta a formare il diborano (che ha una insolita quanto interessante geometria molecolare a tre centri, due elettroni).
I suoi idruri sono caratterizzati dalle piu' disparate geometrie la cui chimica però resta sempre asai limitata.

Confrontando le caratteristiche di questi elementi, ci rendiamo conto delle motivazioni che spingono i ricercatori a d avere una preferenza verso sistemi stellari che garantiscano la medesima chimica che possiamo riscontrare sulla terra.

Una ipotetica chimica basata su un elemento diverso dal carbonio è ragionevolmente limitata.
Ovviamente questo però non esclude la possibilità che possa svilupparsi in condizioni particolari, una forma di vita basata sul silicio, sul boro o su altri elementi che presentano caratteristiche analoghe; tuttavia (in una considerazione puramente personale) penso che la reattività del carbonio è una caratteristica necessaria (ma non sufficiente) per lo sviluppo di forme di vita complesse e, magari, intelligenti.

Francesco Longobardo

martedì 23 settembre 2014

Ebola: dubbi e paure per le nuove epidemie.


In queste settimane non si parla d’altro, il virus Ebola stà terrorizzando le comunità che vivono nell’Africa occidentale ed è subito chiaro il perché, visto che l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha dichiarato che, ad oggi, le morti per queste nuove epidemie sono più di 3000 e circa 6000 sono gli infettati ancora in vita.
Ma com’è possibile che la situazione stia sfuggendo di mano alle autorità? Come mai fin’ora l’Ebola virus non ha suscitato tanta preoccupazione?
Le risposte sono relativamente semplici e concatenate. L’Evd è molto aggressivo e il contagio avviene per contatto con organi, fluidi corporei e delle mucose di individui infetti, sia morti che vivi. La cosa più grave è che il virus si diffonde tra gli esseri umani ed anche tra molte specie animali, tra cui gorilla, porcospini e pipistrelli della frutta (specie diffuse in Africa). Fin’ora il virus ha contagiato persone di piccoli villaggi, distruggendo le forme di vita disponibili e restando senza possibilità di continuare la diffusione della malattia (senza esseri da infettare, il virus arresta la sua corsa), per questo non ne abbiamo mai sentito parlare con toni così allarmati.
Attualmente le autorità sanitarie si trovano però a fronteggiare una situazione nuova, cioè grossi centri urbani virulenti e non esistendo una cura o un vaccino, possono solo cercare di limitare le possibilità di contagio per sperare che il virus non continui a propagarsi; ma la cosa è più facile a dirsi che a farsi. Le possibilità di diffusione del virus in ambienti africani è molto alta a causa dell’insufficienza delle risorse atte ad eliminare il materiale infetto, come tende per isolamento dei malati, smaltitori per i rifiuti biologici e test per la contaminazione di carni ed altri alimenti. La questione preoccupante resta la possibilità che il virus si diffonda nei paesi facilmente raggiungibili dall’africa: se l’Evd dovesse iniziare la sua corsa al contagio anche in paesi industrializzati, dove la densità di popolazione è alta, ci troveremmo a fronteggiare una catastrofe.
A questo punto viene da chiedersi come potersi difendere dal contagio, come si manifesta la malattia e come viene curata.
Per ridurre al minimo le possibilità di essere contagiati, è indispensabile evitare il contatto con animali selvatici, sia vivi che morti, evitare il contatto diretto con gli infetti e, soprattutto, non bisogna toccare nulla che possa essere stato a contatto con le secrezioni o con il sangue di animali o persone infette, inoltre bisogna cuocere bene gli alimenti di origine animale. Possono svolgere un ruolo nella trasmissione di Ebola anche le cerimonie funebri in cui le persone hanno contatti diretti con il corpo del defunto. Le persone decedute per Ebola, infatti, devono essere maneggiate con indumenti protettivi ed essere sepolte immediatamente.
Le persone sono contagiose fino a quando il sangue e le secrezioni contengono il virus. Per questo motivo, per evitare di infettare chiunque altro nella comunità, i pazienti infetti devono essere attentamente monitorati dai medici, per garantire che il virus non sia più in circolo, prima del loro ritorno a casa. Gli uomini, guariti dalla malattia, possono ancora trasmettere il virus a partner attraverso lo sperma, per un massimo di sette settimane dopo la guarigione.
Chi abita o ha viaggiato nelle zone colpite il rischio di infezione da virus Ebola è estremamente basso a meno che vi sia stata esposizione diretta ai liquidi corporei di una persona o di un animale contagiato, vivo o morto.Un contatto casuale in luoghi pubblici con persone che non mostrano segni di malattia non trasmette Ebola. Non si può contrarre la malattia maneggiando denaro o prodotti alimentari o nuotando in piscina. Le zanzare non trasmettono il virus Ebola.
Vediamo ora quali sono i sintomi e le manifestazioni del contagio.
Sintomi della malattia emorragica da virus Ebola sono: comparsa improvvisa di febbre, intensa debolezza, dolori muscolari, mal di testa e mal di gola sono i segni e sintomi tipici (purtroppo aspecifici e non utili per una diagnosi precoce).
Il periodo di incubazione o l'intervallo di tempo dall'infezione alla comparsa dei sintomi è tra i 2 e i 21 giorni. Il paziente diventa contagioso quando comincia a manifestare sintomi, ma non è contagioso durante il periodo di incubazione.
La malattia evolve con la comparsa di segni e sintomi ascrivibili a danni in diversi organi e apparati. Oltre a segni di prostrazione, possono essere presenti segni e sintomi di alterazioni nella funzione epatica e renale, respiratoria, gastrointestinale, del sistema nervoso centrale (cefalea, confusione), vascolare (iniezione congiuntivale/faringea), cutaneo (esantema maculo papuloso).
I fenomeni emorragici, sia cutanei che viscerali, compaiono in oltre la metà dei pazienti affetti da Evd, in genere dopo una settimana dall’esordio. Si può trattare di sanguinamenti a carico del tratto gastrointestinale (ematemesi e melena), petecchie, epistassi, ematuria, emorragie sottocongiuntivali e gengivali, meno-metrorragie. Nella fase terminale della Evd il quadro clinico è caratterizzato da tachipnea, anuria, shock ipovolemico, sindrome da insufficienza multi-organo.
La letalità, a seconda della specie di Evd, varia dal 35% al 90%.
Esistono cure?
Purtroppo, al momento non vi sono medicinali autorizzati all’uso umano per trattare o prevenire Evd.
Spero che ora abbiamo tutti le idee un po’ più chiare riguardo questo terribile virus e le sue capacità infettive. Ricordo a tutti i lettori che l’unico mezzo per contenere le infezioni siamo noi, evitando comportamenti a rischio.

Maurizio Arnone